Giovanni Antonelli
Il libro di un pazzo Introduzione di Massimo Gezzi pp. 182, euro 16
Giovanni Antonelli nacque a Sant’Elpidio a Mare, nelle
Marche, nel 1848 e morì nel manicomio di Ancona nel 1918. La
sua vita tormentata e randagia e i suoi scritti sono composti di
un’unica materia: tema costante sono manicomi, polizia,
tribunali, poesia e sfortuna, il tutto nella sacra cornice
dell’anarchismo di marca marchigiana, collinare e dalle mani
grandi. Di lui si occuparono, quando era ancora in vita, anche Enrico
Morselli (suo medico) e Cesare Lombroso, che gli dedica un intero
capitolo in Genio e follia.
Il libro di un pazzo ebbe due edizioni tra il 1892 e il 1893 e da
allora non è mai stato ripubblicato. È una
raccolta di note autobiografiche che passano in rassegna tutte le
esperienze più estreme occorse nell’esistenza del
suo autore, ed è dunque al contempo un ritratto vivido e
feroce dell’Italia postunitaria attraverso le figure adibite
al controllo sociale: i medici, le forze dell’ordine, i
giudici, ma anche gli esponenti più biechi e retrivi del
popolo, le carceri e i manicomi di mezza Italia. La scrittura
è sorprendentemente fresca, priva di retorica, dotata di un
buon piglio narrativo dai tratti sovente anche umoristici. La seconda parte del volume è una breve scelta delle poesie di Antonelli – egli si riteneva soprattutto un poeta e a volte si procurava da vivere nei suoi vagabondaggi scrivendo componimenti poetici su commissione. Per la maggior parte si tratta di sonetti, che trattano anch’essi i temi più cocenti della sua vita, e attendono ancora oggi di trovare la giusta collocazione nella storia della letteratura italiana. |
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