Max Kommerell
Il poeta e l'indicibile
A cura di Giorgio Agamben
Traduzione di Gino Giometti
pp. 176, euro 22
Quarta
«Esistere nel senso più semplice – come
se, contemporaneamente, tutto ci capitasse per la prima volta, ci
sorprendesse come un miracolo, e nondimeno fossimo con tutto
straordinariamente familiari; abbracciando nel sentimento noi stessi,
il mondo e il destino – esistere in questo senso
semplicissimo, questo forse cerchiamo, ma allo stesso tempo la via
d’accesso al vivere genuino ci è preclusa,
irretiti e isolati come siamo. Tutto ciò è cosa
del poeta; egli lo fa, ma in forza dell’effetto poetico lo fa
in modo che per mezzo di lui e con lui lo facciamo noi, e sebbene noi
distinguiamo poesia e vita, e per nessuna delle nostre
attività abbiamo bisogno del poeta, pure resta la domanda
se, nel senso più proprio, senza di lui sapremmo
vivere.»
Risvolto
«Che cos’è – nella prospettiva
che qui ci interessa – un gesto? Basta scorrere il saggio su
Kleist che apre la presente raccolta per misurare la
centralità e la complessità del tema del gesto
nel pensiero di Kommerell, e la decisione con cui egli riconduce ogni
volta l’intenzione ultima dell’opera in questa
sfera. Il gesto non è un elemento assolutamente
non-linguistico, ma qualcosa che sta col linguaggio nel rapporto
più intimo e, innanzitutto, una forza operante nella lingua
stessa, più antica e originaria dell’espressione
concettuale: gesto linguistico (Sprachgebärde)
definisce Kommerell quello strato del linguaggio che non si esaurisce
nella comunicazione e lo coglie, per così dire, nei suoi
momenti solitari. [...] Se questo è vero, se la parola
è il gesto originario, allora ciò che
è in questione nel gesto non è tanto un contenuto
prelinguistico, quanto per così dire, l’altra
faccia del linguaggio, il mutismo insito nello stesso esser parlante
dell’uomo, il suo dimorare, senza parole,
nella lingua. E, quanto più l’uomo ha linguaggio,
tanto più forte è, perciò, in lui il
peso dell’indicibile, finché nel poeta, che
è, fra i parlanti, colui che ha più parole,
“l’accennare e il far segni si stremano e ne nasce
qualcosa di corrosivo: la furia per la parola.”»
Dall’introduzione di Giorgio Agamben
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