Varlam Šalamov

Quaderni della Kolyma

Poesie (1937-1956)

A cura di Gario Zappi

 

pp. 160, euro 21

 

Quarta

La luna, come gazza delle nevi,
vola dentro dalla finestrella,
sbatte le ali sulla branda,
raspa con le unghie la parete.

S'agita sulle pagine bianche,
spaventata dalla dimora umana,
mio uccello di mezzanotte,
mia bella raminga.


Risvolto

L’opera di Varlam Šalamov (1907-1982) è già nota nel panorama editoriale italiano per le pubblicazioni nel corso di questi ultimi decenni della sua opera narrativa: l’imponente raccolta dei Racconti di Kolyma usciti per la collana dei Millenni Einaudi, la quasi interezza della sua opera in prosa per Adelphi. Egli è di certo suo malgrado l’implacabile «cantore» delle repressioni ed epurazioni staliniane, scontate nel confino di carcere e lavoro nella Kolyma. Interprete di un mondo che è l’idea stessa dell’inospitale, rifiutò egli stesso di ridurre la sua opera a quel fine univoco. E ciò traspare con limpidezza in queste poesie, composte durante i suoi decenni di gulag e qui pubblicate in una nuova traduzione italiana. Come nel caso di Primo Levi, che fu un suo lettore ammirato, l’esperienza velenosamente unica di cui egli è depositario – cristallizzandosi in un dettato in cui riaffiora la tradizione maggiore del verso russo – non indulge in alcun modo alla lamentazione, al martirio politico o alla recriminazione: nessun adagiarsi nei facili e paradossali allori futuri, lautamente mercantili, della pubblicistica del massacro o della tortura. Ciò che interessa Šalamov sta in queste parole, presenti come dedica nei primi manoscritti dei Racconti di Kolyma: «Io scrivo del gulag non più di quanto Exupéry scriva del cielo o Melville del mare. Il gulag è un tema tale per cui financo un centinaio di scrittori come Lev Tolstoj potranno stare uno accanto all’altro, senza stare stretti». Più avanti nel tempo, in un suo taccuino annota: «Il mio tornare alla parola è, nella sua sostanza, un avvertimento all’Uomo su come resistere alla folla».

Dalla «Nota degli editori»

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