Carolyn Wells
Delitto in libreria
pp. 256, euro 28
Quarta
«[…] Non
è semplice come sembra risalire a delle parole ritagliate
da un quotidiano. E, se noti, la scrupolosa autrice di questa lettera
si è servita di un’unica fonte. Quando non
è riuscita a trovare la parola di cui aveva bisogno, si
è arrangiata come meglio ha potuto.
Osserva: la parola “cospiratori” non è
scritta male di proposito, è semplicemente fatta di tre
pezzi. La nostra artista del collage non riusciva a trovare la parola
intera, così ha usato un con qualsiasi, poi ci ha aggiunto spirito e poi ha ritagliato ri da qualche altra parola, tipo dottori o motori, e
ce l’ha appiccicato in coda. Non è difficile, ma
molto ingegnoso. Quel coloroformato mi piace quasi di più di come lo
registra il vocabolario. Ha recuperato un coloro e forma, poi ha pescato un to da un participio qualsiasi e ce l’ha
infilato in fondo. Metti questa lettera tra i tuoi documenti rari
– anche se non è un olografo. Che idea ti sei
fatto su chi l’ha inviata?»
«Un
pazzo, direi!»
Risvolto
«La particolarità di
questo romanzo è quella di essere considerato il primo bibliomystery del Novecento, con un delitto commesso in una
libreria antiquaria, primato che condivide con Sei donne e un
libro di Augusto De
Angelis, pubblicato lo stesso anno a Milano dalla S.T.E.M. Edizioni
Minerva. Entrambi rappresentano un sottogenere del bibliomystery classico perché, come in Sei donne e un
libro, anche in Delitto in
libreria lo scenario
dell’omicidio è una libreria antiquaria. Alla base
dei delitti c’è sempre un libro raro che ne
determina l’accadimento e che però scompare. In Delitto in
libreria il libro
è Il sistema fiscale in Gran
Bretagna e in America, noioso ma assai prezioso e raro
perché autografato da Button Gwinnet, uno dei firmatari
della Dichiarazione
d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America. […] Chi ha ucciso quindi il ricco
Balfour? Chi ha rubato il prezioso volume autografato da Gwinett? Chi
leggerà questo giallo saprà la verità. Delitto in
libreria contiene in
sé, al di là del plot narrativo, tutto
l’humus letterario e scenografico di quegli anni Trenta,
oltre a un certo retrogusto tipicamente british, che si stempera nella
personalità, anche un po’ dandy, di
Fleming Stone, qui alla sua quarantaseiesima indagine, alla fine ovviamente
brillantemente risolta.
Dalla nota
di Massimo Gatta
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