Isaku Yanaihara
I miei giorni con Giacometti
pp. 224, euro 26
Quarta
«Guarda, nei paesaggi reali non esiste neanche uno di quei
colori accesi, non troverai mai una tonalità di rosso o di
verde come quella che viene fuori dai tubetti di colore. Gli alberi, le
case, i tetti, perfino il cielo, tutto è una
continuità color cenere, ci sono delle sottili differenze,
delle complicate sfumature, ma non si può dire che esistano
colori indipendenti».
Al sentire le sue parole, le foglie dell’albero di acacia non
mi sembravano più, in effetti, verdi, ma cominciavano ad
apparirmi come se fossero di una particolare gradazione di grigio e il
paesaggio si trasformava di fronte ai miei occhi in un avvicendarsi di
spazi privi di colore. Mi chiesi se ciò derivasse dalla luce
spenta di quella melanconica città di pietra oppure se si
trattasse invece di una caratteristica intrinseca alle cose, un
elemento universale.
Risvolto
Nel 1954 Isaku Yanaihara (1918-1989), filosofo, poeta, critico
d’arte giapponese e professore universitario, si reca a
Parigi grazie a una borsa di studio per approfondire la filosofia
francese nell’età
dell’«esistenzialismo», ed entra in
relazione con uno dei contesti culturali e artistici più
fecondi del secolo. Fra i personaggi che incontra e che lo
impressionano c’è Alberto Giacometti, che a un
certo punto gli propone di fargli da modello per un ritratto. Yanaihara
non ha idea del significato che ha per l’artista una sfida
del genere. E di fatto per Giacometti la conquista di questo ritratto
diventa una sorta di caccia alla balena. Yanaihara acconsente ad andare
nel suo atelier e a restare in posa immobile per ore, giorni,
settimane, rinunciando progressivamente a ogni progetto personale, dai
viaggi programmati in varie parti del mondo al ritorno in patria dalla
famiglia. Nel corso di questi incontri, ma soprattutto nelle parentesi
di riposo in particolare notturne e spesso in compagnia della moglie
dell’artista Annette, escono fuori una serie di conversazioni
sull’arte, gli artisti coevi, ma anche sui costumi, la
morale, la politica, i rapporti fra Oriente e Occidente, in cui la
parola dell’artista, stenografata dall’ammirato
«modello» giapponese, giganteggia al pari e forse
più delle sue opere. Mentre la vicenda di questo ritratto
irrealizzabile – di cui restano tutta una serie di abbozzi in
varie collezioni – si dipana più avvincente di un
romanzo fra colpi di scena imprevedibili e incontri impressionanti come
quello con Sartre, ma soprattutto quelli con Jean Genet –
autore di un altro celebre saggio sullo scultore. Un diario
dell’ immobilità, del grigio dei paesaggi urbani
parigini che sprigiona, forse grazie alla prospettiva remota
dell’autore, un’inedita energia filosofica e
narrativa.
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